05.10.2018
di Roberto Moncalvo, Presidente Nazionale Coldiretti
In un mondo in cui è richiesta a tutti una certa elasticità mentale e la capacità di rispondere adeguatamente a diversi stimoli che la vita ci riserva, anche l’agricoltura, da sempre considerata un’attività radicata e molto definita, è stata ed è vista sotto una luce nuova. La velocità e la precarietà sembrano i connotati di questo periodo storico. La società ha dovuto, perciò, rimodulare lo stile di vita sulla base di queste condizioni, non senza attriti e difficoltà. Il tema di fondo è sempre quello che vede l’uomo ridotto a monade, chiamata a consumare per essere davvero utile ai meccanismi economico finanziari che governano il nostro mondo.
Come può un’attività – l’agricoltura – fondata sulla pazienza, l’attesa e la perseveranza, essere in grado di sopportare le sollecitazioni e le richieste di una società di questo tipo? Come fa un agricoltore a dover considerare illimitate le risorse che permettono la crescita e lo sviluppo dei prodotti in base ad una richiesta crescente che sempre e comunque favorisce la grande industria agroalimentare? Può essere l’agricoltura lo strumento di resistenza e resilienza contro l’omologazione e la devastazione dell’ambiente?
Tutte queste domande trovano risposta nella multifunzionalità in agricoltura. Con il Decreto Legislativo 228 del 18 maggio 2001, l’agricoltura entra nell’era moderna e si vede riconosciuto il ruolo che storicamente le spetta: offrire cibo e servizi al territorio. Non si può parlare di biodiversità e di tutela dell’ambiente, argomenti di questa pubblicazione, senza partire da questo caposaldo del nostro ordinamento legislativo che ha permesso all’imprenditore agricolo di uscire dall’anonimato e riacquisire un ruolo da protagonista nella nostra società. Infatti l’omologazione, derivante dalle politiche produttive dell’agroalimentare, vedrebbe questa millenaria attività umana unicamente vocata alla produzione di cibo nella maggiore quantità possibile. In realtà la nuova tendenza dell’agricoltura è quella di offrire servizi ad integrazione della semplice, quanto indispensabile, produzione di derrate alimentari. È incredibile pensare che tutto sommato questa nuova offerta derivi, probabilmente, dalle necessità che emergono nell’essere umano che non può essere assimilato completamente dalla visione mercantile e utilitaristica. L’uomo è molto di più che un soggetto consumatore e, una volta interiorizzata questa consapevolezza, deve necessariamente colmare un bisogno di bellezza, silenzio, lentezza che può trovarsi solo in alcuni contesti e in alcune attività umane come la spiritualità, l’arte, la natura e appunto il lavoro della terra. È per questo che sempre più persone cercano di evadere non appena possibile dalle città, per cercare “rifugio” in accoglienti strutture, gli agriturismi, immerse nel paesaggio agro-silvo-pastorale. Oppure troviamo genitori che tentano di offrire ai figli occasioni di crescita a contatto con la natura e di conoscenza dei rudimenti dell’agricoltura in qualche fattoria didattica. O come non citare, ancora, le categorie a rischio di esclusione sociale che cercano i propri percorsi di reintroduzione nella società in strutture agricole vocate a tale missione? E dove il cittadino non riesce ad uscire dal contesto urbano, trova comunque “pezzi di campagna che arrivano in città” grazie ai nuovi meccanismi di vendita di prodotti agricoli e della tradizione artigianale, mercati di vendita diretta, orti urbani e altro ancora.
La prima e più significativa espressione della multifunzionalità in agricoltura è la possibilità di effettuare la vendita diretta all’interno dell’azienda stessa. Il cittadino consumatore può trovare così dei luoghi in campagna dove fare la spesa. Gli imprenditori più intraprendenti dedicano a questa attività spazi adeguati, molto curati e con diversi strumenti comunicativi per far passare al meglio messaggi inerenti la tutela dell’ambiente, del lavoro, la stagionalità, la tipicità, il cibo, la cultura etc.
Quando ciò viene organizzato in luoghi distanti dall’azienda, in contesti urbani e con la collaborazione di altri imprenditori agricoli, nascono i mercati di vendita diretta, veri e propri spazi di incontro, scambio e acquisto di prodotti agricoli che dalla campagna giungono in città per la comodità di migliaia di consumatori.
Questo modello offre la vasta gamma di scelta di un supermercato, con la garanzia della qualità dei prodotti su cui il produttore mette la faccia. In questi luoghi, neanche troppo sottotraccia, si respira la cultura della campagna con il vociare caratteristico e i dialetti delle aree interne, il profumo degli alimenti proposti, informazioni e notizie dalle campagne, metodi di preparazione per piatti della tradizione enogastronomica italiana e molto altro ancora. Sono posti festosi e ricchi di passione e condivisione. Dopo circa 10 anni dalla legge di orientamento un altro tema è stato messo sui tavoli politici: a chi vive e lavora in campagna quale ruolo va riconosciuto dal punto di vista della tutela ambientale? Entra quindi nella discussione politica e nella società il tema degli agricoltori custodi del paesaggio, lanciato dalla legge del 2010 sulla conservazione della biodiversità. Dopotutto in un contesto territoriale che ha visto l’abbandono delle campagne e un’urbanizzazione spesso selvaggia di aree limitrofe ai centri urbani consolidati, chi lavora la terra non può che considerarsi un baluardo, forse l’ultimo, contro l’uso scellerato del territorio. La perdita di suolo fertile a causa della trasformazione di aree agricole e naturali con la costruzione di edifici, infrastrutture o altre coperture artificiali, viaggia a una velocità di circa 3 metri quadrati al secondo, poco meno di 30 ettari al giorno, secondo i dati pubblicati dall’ISPRA nell’ultimo rapporto nazionale sul consumo di suolo. Ciò determina una difficile gestione delle acque, la perdita e frammentazione di ecosistemi naturali, di biodiversità selvatica e di interesse agricolo, inquinamento. Eppure, come detto, la richiesta di natura è altissima nei cittadini. Il 63% degli italiani ha cura di un orto o di un balcone fiorito. Questa schizofrenia della nostra società, tra bisogno del bello e naturale e contesti urbani degradati, ha degli effetti sorprendenti. Ad esempio crescono sempre più gli orti urbani con intere aree cittadine strappate all’incuria da parte di associazioni nell’ottica della sussidiarietà. Oppure, dato estremamente significativo, i giovani che tornano alla campagna sono un numero sempre più elevato: nel 2017 a livello nazionale sono aumentati del 6% gli under 40 titolari di imprese agricole!
Si parla di aziende aperte al cambiamento e dialoganti attraverso la vendita diretta, l’impegno sociale, l’innovazione e il rispetto della natura. La strada è davvero tracciata e di fronte alle incertezze dei nostri tempi, una cosa è chiara: un pomodoro sempre dalla terra dovrà crescere e quel pomodoro ha un significato che va oltre l’essere un semplice quanto indispensabile prodotto alimentare. La passione, l’amore per la terra, la tradizione, la conoscenza, la nostra storia sono elementi nascosti dietro un cibo che si fa simbolo. La presentazione di questi simboli al mondo contemporaneo, quasi dei sigilli di “attori del significato”, persone che svolgono un’attività con una dedizione paragonabile a una missione religiosa. Oggi gli agricoltori sono chiamati ad essere questo. D’altronde, a ben guardare, lo hanno sempre fatto. Oggi gli viene finalmente riconosciuto! In conclusione veniamo a parlare del tema di questo lavoro. La tutela della biodiversità, sia di interesse agricolo che naturalistico, è una questione prioritaria. Cittadini consumatori e imprenditori agricoli hanno di fronte una scelta davvero epocale: lasciarsi in balia del mercato e del consumo “tutto e subito” o improntare la produzione e l’acquisto ad un’etica ed attenzione al “piccolo”? Tralasciando le questioni legate alla salute, alla storia e tradizione che rivestono un ruolo importantissimo, c’è un aspetto che forse più di altri va sottolineato: la dignità intrinseca di ogni essere vivente. Non possiamo permetterci di considerare una varietà di mela o una razza bovina rappresentata da pochi individui, sacrificabile sull’altare della modernità.
Quei geni contenuti nelle cellule di quell’essere sono irripetibili miracoli della natura a volte plasmati dall’attività secolare degli uomini. Quando parliamo di biodiversità e della sua scomparsa parliamo di tragedie silenziose che forse oggi non intaccano il tran tran quotidiano ma che in futuro presenteranno il conto in tutta la sua crudezza: un pianeta in sofferenza, dove la vita non sarà più qualcosa di scontato!
Gli agricoltori in questo avranno di che lavorare e l’alleanza con i cittadini consumatori genererà il nuovo modello di società a cui ambiamo.