05.10.2018
Silvio Greco, Docente di Sostenibilità ambientale, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo
La biodiversità legata agli ecosistemi naturali si riduce man mano che aumentano i fattori di pressione che peggiorano la qualità ambientale di questi ecosistemi. Poiché i sistemi agricoli non sono altro che ecosistemi modificati dall’uomo a scopo produttivo, anche in questo caso la biodiversità subisce delle variazioni; si parla infatti di agrobiodiversità e cioè diversità legata ai sistemi agricoli. Dal punto di vista agroalimentare l’Italia possiede una grande biodiversità, favorita dalla sua geomorfologia, dal clima e dal fatto che il suo territorio ospita gli ambienti semidesertici del sud, fino a quelli montani, dalle Alpi agli Appennini. Questi fattori, uniti agli interventi umani e alle onde migratorie che hanno lasciato la loro impronta, sono alla base del grande patrimonio di agrobiodiversità che ha dato origine alla nostra gastronomia, così ricca e diversa da regione a regione, ma spesso anche da città a città. Durante il processo evolutivo dell’agricoltura, l’uomo ha selezionato nel tempo innumerevoli varietà frutticole, cerealicole, ortive, in base alle sue necessità, guardando all’aspetto produttivo, qualitativo, sanitario etc. Ciò è avvenuto anche per le razze animali, in cui si è cercato di allevare i soggetti migliori, più produttivi e più facilmente adattabili alle diverse condizioni climatiche e di allevamento.
Per quanto riguarda le 30 specie addomesticate dal 10.000 a.C. come risultato di una lunga storia di allevamento si sono differenziate 4.500-5.000 razze delle quali circa 4.000 appartengono a 9 specie (bovini, ovini, capre, cavalli, asini, suini, bufali, polli e anatre). La ricostruzione delle tappe dell’addomesticamento e dell’insediamento delle razze autoctone nei loro attuali territori, la riscoperta delle antiche tradizioni di allevamento e di trasformazione delle produzioni fanno parte della nostra memoria e del bagaglio culturale ed alimentare di ciascun popolo. Ogni razza è frutto della cultura della popolazione che l’ha selezionata, riassume una storia millenaria e l’evoluzione culturale, rappresenta un patrimonio da conservare come le grandi opere d’arte quali combinazioni uniche di geni irriproducibili. Oggi sono riconosciuti i pregi bio-nutrizionali dei prodotti dei tipi genetici autoctoni dovuti, oltre che al loro tipo metabolico, anche al programma alimentare e al sistema di allevamento che consentono prodotti (sia latte che carni) meno inquinati, a basso contenuto di colesterolo ed elevate proporzioni di acidi grassi polinsaturi (omega-3, omega-6, CLA e acido alfa-lipoico).
In molti Paesi, tra cui l’Italia, i processi produttivi e le importazioni di razze esotiche hanno determinato l’erosione delle risorse genetiche autoctone meno capaci di essere valorizzate con l’approccio selettivo condannandole al ruolo di reliquia. Secondo la FAO, in Europa si sono estinte 97 razze domestiche (9 bovine, 4 caprine, 54 suine e 30 ovine), mentre il 43% delle razze è in pericolo nell’UE e il 37% nel mondo. Dal 1961 al 2003 la consistenza di manzi e vitelli in Europa è diminuita mentre la produzione è salita, lo stesso si può dire per il latte bovino, per il suino sono aumentate entrambe fino ad assumere eguali valori, mentre per la carne avicola sono aumentate, ma nel 1994 vediamo una maggior produzione di carne con meno capi. Attualmente il 30% delle razze esistenti è a rischio e si stima che ogni anno da 1.500 a 10.000 specie di animali e vegetali si estinguano, rischio che varia da zona a zona; per esempio in Repubblica Ceca e Ungheria non esistono i fondi per mantenere la biodiversità perciò il 45% di avicoli e mammiferi sono a rischio.
Da studi effettuati dal Ministero dell’Ambiente, risulta che in Italia sono sparite negli ultimi 25 anni ben 15 specie di suini, 11 di bovini, 9 di pecore, 4 di asini, 2 di cavalli. Contemporaneamente vi sono specie che sono a rischio di estinzione come 14 bovine, 6 asinine, 8 suine, 6 di pecore, 5 di capre e 6 di galline. Per le specie vegetali le cose non vanno meglio, infatti se noi guardiamo i dipinti di nature morte del Bimbi (pittore del 1600 che operava a Firenze), possiamo vedere molte varietà di pere, mele, uva, pesche, susine, ciliege. Oggi invece troviamo in commercio praticamente soltanto tre gruppi di mela e per le pere la situazione non è migliore. Molto più allarmante è la situazione a livello mondiale, dove solo dieci specie vegetali danno origine al 90% della produzione agricola da cui ricaviamo nutrimento. La maggior parte degli alimenti di origine animale prodotta da pochissime specie, la sostituzione di popolazioni locali con poche razze cosmopolite e l’elevata pressione selettiva spostano l’interesse verso l’elevato rischio di erosione genetica. Delle circa 3.800 razze di bovini, ovi-caprini, suini, equini e asinini che esistevano nel XX secolo il 16% è estinto ed il 15% è a rischio di estinzione, questo perché nelle razze bovine altamente selezionate esistono poche linee di riproduttori usate intensamente, mentre nel settore suinicolo e avicolo poche razze dominano la produzione mondiale. Il declino delle razze locali è spesso legato ad una scarsa competitività economica, pertanto per la salvaguardia è indispensabile individuare e migliorare geneticamente alcuni caratteri. La valorizzazione economica di queste razze può contribuire ad aumentare la loro competitività per interrompere il loro declino. Senza le vecchie varietà, le nuove non potrebbero riprodursi e non potrebbero sopravvivere, per cui probabilmente il futuro dell’agricoltura non dipenderà dagli ibridi o dagli OGM, ma dalle specie selvatiche e dagli agricoltori. In Italia, soprattutto nella collina e montagna si possono ancora trovare vecchie razze, varietà fruttifere e ortive ancora gelosamente custodite da agricoltori molto legati al territorio e alle tradizioni. Sono ancora presenti molte altre varietà di frutti dimenticati, soprattutto nelle vicinanze delle case coloniche ormai abbandonate: oltre a pere e mele di cui non si conosce la varietà possiamo trovare anche ciliegi, susini, mandorli, fichi etc. Una ricerca dettagliata di questi frutti biodiversi sarebbe auspicabile, soprattutto finalizzata a un recupero del germoplasma, onde evitare il rischio di erosione genetica e riproporne la coltivazione, sia pure in aree limitate e per produzioni ridotte, soprattutto nelle aziende biologiche.
Dalla biodiversità rurale, cioè quella legata all’agricoltura, deriva la biodiversità gastronomica che nel nostro territorio è così importante ed apprezzata da tutti. Solo grazie a una elevata biodiversità fatta di prodotti agroalimentari strettamente legati al territorio è stato possibile nel tempo mettere a punto, da parte delle massaie italiane e di ristoratori illuminati, innumerevoli ricette dal sapore unico e vario da zona a zona e addirittura da paese a paese. Si ricorda che generalmente il cibo locale ha un gusto superiore in quanto deriva da prodotti coltivati vicino al luogo in cui sono consumati, quindi più freschi e maturi. Il cibo locale, soprattutto se acquistato direttamente dal coltivatore, non è un cibo anonimo ma è legato all’area di produzione e viene spesso identificato con il produttore stesso; oggi si sta diffondendo la tendenza a costituire dei gruppi di acquisto solidali (GAS) che possono calmierare i prezzi e garantire il permanere di un’agricoltura locale. Anche attraverso la scelta del cibo noi consumatori possiamo incidere sulla salvaguardia del territorio, attraverso il mantenimento dell’agricoltura locale che, soprattutto in collina e montagna, svolge un importante ruolo di presidio del territorio contro il dissesto idrogeologico e l’abbandono.
Attraverso la scelta del cibo quotidiano, possiamo contribuire in modo determinante alla salvaguardia della biodiversità agraria: i prodotti agroalimentari che troviamo sul mercato sono il frutto della domanda dei consumatori e siccome molti non conoscono buona parte delle produzioni tradizionali, ormai difficili da reperire, ovviamente non le richiedono (e nessun produttore coltiverà ciò che non richiede il mercato).
Solo una buona conoscenza dei prodotti tradizionali può permettere al consumatore di richiederli sul mercato e solo così gli agricoltori riorienteranno le loro produzioni che non saranno più a rischio di estinzione.