22.01.2016
[:it]I VINI DEL LAZIO La viticoltura laziale continua a soffrire degli sciagurati errori commessi negli anni ’70 e ’80, quando buona parte del ricco e caratteristico patrimonio ampelografico della regione fu espiantata in favore soprattutto di Trebbiano e Malvasia, vitigni neutri e super-produttivi, allevati a tendone con rese da panico e che andavano a rifornire […]
[:it]I VINI DEL LAZIO
La viticoltura laziale continua a soffrire degli sciagurati errori commessi negli anni ’70 e ’80, quando buona parte del ricco e caratteristico patrimonio ampelografico della regione fu espiantata in favore soprattutto di Trebbiano e Malvasia, vitigni neutri e super-produttivi, allevati a tendone con rese da panico e che andavano a rifornire di “vino della casa” osterie e mercati.
L’inversione di tendenza è avvenuta da anni, ma i danni restano incalcolabili; una denominazione come il Frascati, che non sarà un’eccellenza assoluta a livello mondiale ma può comunque dare – come dimostrano alcuni produttori virtuosi – vini di pregio, stenta a rifarsi un nome e continua a suscitare smorfie di disgusto sui volti degli appassionati, vittime di un pregiudizio non proprio immotivato.
Un paradosso regionale è che tre quarti della superficie sono vitati a uve a bacca bianca, ma l’unica Docg regionale è un rosso, il Cesanese del Piglio, che si ottiene in Ciociaria dal vitigno omonimo (da non confondersi con il Cesanese di Olevano Romano, che pure è un vitigno assai interessante). Il Cesanese del Piglio è di un color rubino piuttosto concentrato, ha profumi intensi di frutta rossa e nera e qualche nota speziata, è caldo, di buon corpo e con un tannino ben presente anche se non invadente. Si sposa alla perfezione con molti piatti della cucina regionale e specialmente romana, dai primi con sughi di carne all’abbacchio, passando per pajata e fegatelli. Nello stesso territorio, si registra qualche risultato interessante con un vitigno a bacca bianca, la Passerina del Frusinate.
Nei Castelli Romani, oltre al Frascati e ai vari trebbiani e malvasie, c’è anche una produzione di vini rossi, spesso da vitigni internazionali, che in alcuni casi raggiunge l’eccellenza assoluta: qui sono nati, in un’epoca che possiamo considerare ancora pionieristica per il taglio bordolese in Italia, ossia tra l’immediato dopoguerra e la fine degli anni Ottanta, vini rossi da uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot di rara personalità, bottiglie che oggi si fanno beffa del tempo spingendoci, dall’alto del loro posto al sole fra i grandi d’Italia, a riflettere sui limiti della viticoltura regionale.
Recente è poi il recupero del Giacché, interessantissimo vitigno a bacca rossa di origine etrusca allevato nella zona di Cerveteri e prodotto sia fermo che passito.
In provincia di Viterbo si produce poi l’Aleatico di Gradoli, interessante passito da un’uva assai più nota in Toscana; è vino raro e a volte superbo. In provincia di Latina, il vitigno più interessante è di gran lunga il Moscato di Terracina, che viene vinificato sia secco che passito; il territorio di Terracina non è affatto banale, potendo contare su vigneti a 350-400 metri di altitudine che risentono dell’influenza del mare, e non mancano le vecchie vigne. Ne risultano alcuni dei vini più interessanti, soprattutto in prospettiva (qui la viticoltura di qualità è storia piuttosto recente), dell’intera regione.[:]