17.06.2024
Istituita nel 1994 dalle Nazioni Unite ogni 17 giugno, intende promuovere la consapevolezza pubblica degli sforzi internazionali per combattere la desertificazione, la perdita di fertilità del suolo e il conseguente degrado delle risorse naturali causati dalle attività umane
Non ci illudiamo, la pioggia di questi giorni, a tratti distruttiva, è solo un’altra faccia di una stessa medaglia: il cambiamento climatico. Quale che sia l’origine di questo fenomeno, di certo con un contributo sostanziale delle attività umane, sta di fatto che i fenomeni estremi si acuiscono e aumentano e le stagioni non si alternano più con normalità.
Anzi spesso troviamo situazioni paradossali in cui un inverno decisamente mite allunga le sue più fredde propaggini in primavera quando i primi calori interagendo con masse d’aria settentrionali e fredde, scatenano l’energia in gioco con piogge torrenziali, tornado e repentini cali di temperatura. Al contempo quando la stabilità prende il sopravvento masse d’aria molto calda invadono il Mediterraneo e inaridiscono i suoli.
Anche il fango delle alluvioni seccandosi dall’umidità diviene uno spesso strato, impermeabile, difficilmente lavorabile e a volte addirittura inutilizzabile per quel che concerne la fertilità. Ecco, quindi, che paradossalmente il rischio è di avere momenti di allagamento di intere aree (con piogge concentrate in pochissimi giorni) alternate a più frequenti lunghi periodi di siccità che trasformano i territori in deserti.
In Italia oggi ettari ed ettari di suolo soffrono la condizione appena descritta, altri sono decisamente a rischio.
Il 28% del nostro Paese è a rischio: regioni quali Sicilia, Puglia e Sardegna sono da tempo riconosciute come altamente vulnerabili alla desertificazione e ora stanno incominciando ad affrontare le prime fasi di questo processo. Una minaccia che lungi dall’essere localizzata solo nel Sud si estende a tutto il Bel Paese, trasformando anche i terreni fertili del Veneto, del basso Piemonte e guarda caso, visti gli ultimi accadimenti, dell’Emilia-Romagna in deserto e polvere.
A rischio un comparto, quello agricolo, nei luoghi che sono i “granai, i frutteti, gli orti” d’Italia. A rischio il nostro cibo più genuino, i custodi del territorio, gli agricoltori e gli aspetti della multifunzionalità in agricoltura: i paesaggi, il turismo, la biodiversità, la cura dei deboli con l’agricoltura sociale, le fattorie didattiche ecc…
Il valore di tutta la multifunzionalità in agricoltura è pari a 12 miliardi di euro ogni anno a cui va aggiunto l’intero valore delle derrate prodotte (circa 50 miliardi di euro). Questo è un patrimonio, ed è proprio il caso di dirlo, a rischio “erosione”.
È necessario per questo intervenire sulle cause e sugli effetti. Sulle cause ognuno di noi può provare a fare la sua parte con scelte di consumo, in particolare di cibo, responsabili ed etiche (filiera corta, km zero, stagionalità, biodiversità), stili di vita sostenibili come l’utilizzo di mezzi di trasporto collettivi e non inquinanti e sostenendo in tutti i modi l’agricoltura italiana e familiare. Ricordiamoci che i tutori del territorio sono i piccoli contadini che in tutto il mondo sono le prime vittime e anche i primi custodi del paesaggio.
Sugli effetti sarebbe opportuno intervenire sui bacini di raccolta e invasi che potrebbero anche diventare punti di richiamo per la fauna selvatica, interrompere quella sciagura che va sotto il nome di consumo di suolo ed in particolare della cementificazione, permettere il naturale decorso dei fiumi e l’eliminazione di tronchi e materiali che rischiano di creare barriere nei periodi di piena.
Il deserto, così come lo immaginiamo, è un ambiente che regala visioni meravigliose, è funzionale alla regolazione del clima sul pianeta, ospita le sue caratteristiche forme di vita, culture e attività umane. Andiamo a visitare, ovunque siano, i deserti caldi e freddi della terra ma evitiamo che questi si trasferiscano dalle “nostre parti”. La nostra vecchia e cara Italia è fatta per ben altre condizioni.