22.01.2016
[:it]I VINI DELLA SICILIA La viticoltura siciliana è ricca di storia, ma anche di vicissitudini: la produzione di vino era fiorente ai tempi dei Greci, ma i Romani espiantarono buona parte dei vigneti per rendere l’isola il granaio dell’Impero; non aiutò la dominazione araba, che tanto diede alla Sicilia ma certamente non si interessò al […]
[:it]I VINI DELLA SICILIA
La viticoltura siciliana è ricca di storia, ma anche di vicissitudini: la produzione di vino era fiorente ai tempi dei Greci, ma i Romani espiantarono buona parte dei vigneti per rendere l’isola il granaio dell’Impero; non aiutò la dominazione araba, che tanto diede alla Sicilia ma certamente non si interessò al vino. Possiamo quindi dire che la viticoltura siciliana inizia a ripartire intorno al XV secolo, per poi conoscere un autentico boom a fine Settecento, con l’inizio dell’età dell’oro del Marsala che per tutto il XIX secolo fu uno dei vini più importanti d’Italia, affiancato da una produzione importante nella zona dell’Etna, che proprio in questi ultimi anni è rifiorita tanto da fare del vulcano forse il distretto vinicolo italiano in maggiore ascesa qualitativa e produttiva. Ma va sottolineato come la regione attraversi, in questi anni, un florido periodo di rinnovamento che tocca tutte le zone ed esalta la produzione del vignaiolo a scapito dell’industria. Infatti, se dagli anni Settanta ai primi Duemila la viticoltura siciliana si è fatta strada soprattutto grazie all’operato di grandi aziende che hanno prodotto milioni di bottiglie l’anno portandole sulle tavole di tutta Italia e non solo, oggi il mercato ha cambiato gusti e c’è stata una salutare esplosione dei piccoli vignaioli, che in alcuni casi hanno valorizzato zone dimenticate e, lavorando con vitigni autoctoni in modo spesso rispettoso della natura, hanno mostrato un volto della Sicilia giovane, moderno, dinamico, votato alla qualità assoluta e a una concezione veramente contemporanea dell’enologia.
L’unica DOCG regionale è il Cerasuolo di Vittoria, uvaggio di Nero d’Avola e Frappato tipico della provincia di Ragusa e di parte di quelle di Caltanissetta e Catania. E’ un rosso a cui il gentile Frappato conferisce morbidezza ed eleganza, e il Nero d’Avola potenza e struttura; avendo poco tannino, è uno dei migliori vini rossi da abbinare al pesce, senza tralasciare il classico accostamento con la caponata. Il vitigno Nero d’Avola è uno dei simboli della trasformazione recente della Sicilia del vino: assai in voga nei due decenni passati, in cui oceani di versioni dozzinali di questo vitigno hanno infestato il mercato, oggi che la moda è passata riesce a imporsi solo se di qualità, e specialmente se prodotto nelle zone più vocate come la Val di Noto, in provincia di Ragusa, dove in comuni come Noto, Avola, Chiaramente Gulfi e Pachino, la configurazione del suolo e le caratteristiche pedoclimatiche sono assai variegate e questo si riflette su vini tutt’altro che omologati e anzi assai rappresentativi del territorio.
In provincia di Palermo, le zone di Monreale, Alcamo e Camporeale stanno dando vini sempre più interessanti: fra i rossi, al Nero d’Avola e al Nerello Mascalese si aggiunge l’autoctono Perricone, cui gli addetti ai lavori attribuiscono un gran potenziale, e per quanto riguarda i bianchi Catarratto e Inzolia sono affiancati da vini di insospettabile personalità da uve Trebbiano. Nella provincia di Messina, la zona più interessante è quella del Faro DOC, il mitico vino dello Stretto che era praticamente scomparso negli anni Ottanta e che è stato felicemente recuperato: oggi è glorificato dalla critica, che in esso vede l’ideale punto d’incontro tra l’eleganza della Borgogna e il carattere del Rodano, e richiestissimo dai consumatori. Nell’uvaggio del Faro DOC prevale il Nerello Mascalese, con quantità minori di Nerello Cappuccio, Nocera e altre uve.
Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay continuano ad essere coltivati, specialmente in zone come Salaparuta e Contessa Entellina, ma per i motivi che abbiamo già detto sono in declino.
Restano i vini dolci: in provincia di Siracusa si produce l’eccellente Moscato di Noto, ma i vini più famosi, la Malvasia delle Lipari e il Moscato di Pantelleria, sono prodotti nelle isole minori di cui portano il nome. La viticoltura a Pantelleria è davvero estrema: su questa torrida isola, le viti di Moscato d’Alessandria vengono allevate ad alberello, tenute bassissime in buche scavate nel terreno per proteggerle dai venti caldi che soffiano con grande forza, e fa così caldo che in alcune annate è necessario chiedere l’autorizzazione per vendemmiare nel mese di luglio. Il vino che si ottiene, però, ricompensa gli sforzi profusi, perché il Moscato e il Passito di Pantelleria sono grandi vini che non necessariamente devono accompagnarsi solo ai dolci tipici siciliani.
MARSALA
Vino nobilissimo e antico, dalla longevità infinita, ideale simbolo con il Barolo dell’Unità d’Italia, il Marsala sa essere eccellenza assoluta e se ne dovrebbe parlare di più.
Nella provincia di Trapani si vinificava fin dai tempi dei Greci, e in particolare, presso i Romani, erano in voga i vini conciati, ossia addizionati di mosto cotto. Naturale evoluzione di questa pratica era l’antico Perpetuum, un vino (che qualche produttore di nicchia propone tuttora, in genere utilizzando il Trebbiano, in quantità limitatissime) prodotto, come lo Sherry e il Porto, con il metodo Solera, che prevede la sistemazione di botti in file sovrapposte: ogni anno viene riempita la botte più in alto e le altre vengono travasate, di modo che quella più in basso, da cui una parte del vino viene spillata e imbottigliata, contiene vino di numerose annate e avrà acquisito una particolare complessità, soprattutto se la solera è vecchia di secoli. Al Perpetuum, il mercante inglese John Woodhouse, nel 1773, aggiunse acquavite di vino, per fortificarlo facilitando il trasporto via mare e ottenendo un vino conforme al gusto britannico dell’epoca. Il successo fu immediato, e Marsala divenne “terra di conquista” da parte degli inglesi, che vi stabilirono le loro aziende vinicole, seguiti a partire dall’Ottocento da produttori locali. Il Marsala fu, nel 1932, il primo vino italiano protetto da una legge che ne disciplinava la produzione, in pratica una DOC ante litteram visto che la legge che le istituì risale al 1963. L’uva più utilizzata e più pregiata è il Grillo, vitigno che ha la caratteristica di raggiungere gradazioni alcoliche naturalmente elevate; largamente utilizzata è anche l’Insolia, e le altre uve ammesse sono Catarratto e Damaschino. Esiste anche il Marsala Rubino, prodotto con almeno il 70% di uve a bacca rossa, che in questo caso sono Perricone, Nero d’Avola e Nerello Mascalese. Nella classificazione del Marsala si distinguono le categorie Oro, senza aggiunta di mosto cotto, e Ambra, con più dell’1% di mosto cotto; in base al residuo zuccherino abbiamo il Marsala secco, quello semisecco e quello dolce, e in base alla durata dell’affinamento le categorie Fine, Superiore e Superiore Riserva. Il Marsala Vergine è quello senza aggiunta di mosto cotto, affinato almeno 5 anni, 10 nella categoria Stravecchio o Riserva. Nel Dopoguerra il Marsala era un vino estremamente diffuso, ma l’invasione del mercato da parte di prodotti dozzinali, per lo più conciati in modo discutibile, che poco avevano a che spartire con questo grande prodotto ne ha determinato la crisi, e oggi le aziende che lo producono sono un decimo di quelle del periodo d’oro: solo chi ha votato la produzione alla qualità è riuscito a sopravvivere, e in questo processo abbiamo perso per strada anche alcuni bravi produttori. In ogni caso, la provincia di Trapani è tuttora quella con la maggiore estensione di vigneti in Europa, e da sola produce più vino dell’intero Cile. Il Marsala, con la sua straordinaria complessità, è il vino da meditazione per eccellenza, ma abbinandolo ai dolci tipici siciliani non gli si fa certo un torto.
ETNA
Oggi chi parla di viticoltura in Italia non può prescindere dal parlare dell’Etna, territorio dalle caratteristiche geologiche e climatiche uniche da cui si ottengono vini di insuperabile personalità, che oggi sanno essere grandi e domani, probabilmente, vanteranno qualche grandissimo.
All’inizio del Novecento, la viticoltura etnea era assai fiorente, al punto che il porto di Catania era il primo d’Italia per traffico di vino; le due guerre distrussero questa fiorente attività, di cui l’eredità più evidente sono le vecchie vigne, alcune centenarie, che ancora si trovano sul vulcano. Oggi, l’Etna è la zona più in crescita dell’enologia nazionale, e i suoi vini sono richiestissimi dai consumatori più esigenti.
Le condizioni climatiche del vulcano sono uniche: qui si può fare una viticoltura di montagna (ci sono i vigneti più alti d’Europa a 1.300 metri di altitudine), e al tempo stesso la latitudine comporta una temperatura e un’insolazione tali da permettere la maturazione dell’uva in condizioni difficilmente ripetibili altrove. A ciò si aggiunga il suolo vulcanico, che conferisce a questi vini una spiccata sapidità. La DOC Etna prevede solo l’utilizzo dei vitigni autoctoni della tradizione, ben acclimatati sul vulcano. L’uva bianca più pregiata è il Carricante, che costituisce almeno il 60% dell’uvaggio dell’Etna Bianco DOC, a cui si accompagna di frequente il fresco Catarratto, oltre alla Minnella; non dimentichiamo, però, che qui ci sono vecchie vigne anche del profumato ed elegante Grecanico Dorato e della più rustica Coda di Volpe. Notevole è la capacità di abbinamento di questi vini non solo con le preparazioni di mare più disparate, ma anche con carni bianche e piatti di verdure.
Il grande vitigno dell’Etna è però indubbiamente un rosso, il Nerello Mascalese, che, in purezza o con una percentuale massima del 20% di Nerello Cappuccio, costituisce l’Etna Rosso DOC. Il Nerello Mascalese è un vitigno straordinario di cui non conosciamo ancora i limiti, ma il fatto che organoletticamente si collochi a metà strada fra il Nebbiolo e il Pinot Noir, considerati dalla maggior parte degli appassionati il più grande vitigno rispettivamente d’Italia e di Francia, fa pensare. L’Etna Rosso è un vino luminoso, elegantissimo e fine, ma allo stesso tempo ha una buona struttura in cui il contenuto alcolico è rilevante ma al tempo stesso mitigato da freschezza e sapidità; queste sue caratteristiche lo rendono oltretutto assai versatile in cucina, dove accompagnerà splendidamente carni bianche e rosse, selvaggina da piuma, formaggi e anche preparazioni di pesce particolarmente sostanziose come una tagliata di tonno.[:]